Lo sai quanto paghi per tenermi chiuso qui? Scopriamo quanto costa ai contribuenti mantenere i cani nei canili in Italia.
Quando il tuo vicino di casa decide di far accoppiare la sua adorabile cagnolina e poi non riesce a trovare una famiglia valida a tutti e 14 i cuccioli nati, chi pensi che paghi per la sua superficialità? Tu.
E non in senso figurato: ogni anno per ogni cane recluso in gabbia viene pagata al canile la modica cifra di 100/150,00 euro a cane AL MESE come media (dato del Ministero della Salute 2018); in Italia ci sono oltre 110.000 cani detenuti a spese dei contribuenti. Per chi non avesse voglia di farsi i conti questo si traduce in circa 200 milioni di spesa pubblica l’anno. Cifra che potrebbe essere investita per risolvere -per dirne una- l’inverosimile umiliazione perpetuata ai danni dei terremotati dai governi che si susseguono.
Da questi numeri si apriranno molti approfondimenti che spazieranno dalla zoomafia al volontariato attivo; per il momento diamo un’occhiata al funzionamento di questa macchina da soldi.
Quando un cane viene abbandonato dalla sua “famiglia” -perché diventata improvvisamente allergica, perché non hanno educato il cucciolo che è diventato ingestibile, perché la moglie ha paura, perché si trasferisce, perchè il cane si è ammalato, perchè il cane perde i peli, perchè ormai è anziano, perchè “ci nasce un bambino”, perché perché perchè ….- il cane muore per strada o finisce in gabbia.
Nel secondo caso, in Italia, la L. 281/91 pianifica una rete di assistenza che fa capo ai Comuni e alla Polizia Municipale. Sulla carta. Tradotto sancisce che un cittadino che trovasse un cane per strada -pericoloso sicuramente per se stesso ma anche come causa di incidente per gli automobilisti- dovrebbe chiamare la polizia municipale e questa dovrebbe intervenire (o far intervenire la Asl/il veterinario/chi per lei). Dovrebbe. Il condizionale l’ho usato per non sporcare il buon nome di tutti gli agenti che questa legge la rispettano e si adoperano per risolvere l’emergenza senza lavarsene le mani, demandando al cittadino, privato, di farsene carico. Premesso ciò, tutti gli altri, il 98%, quando sentono “recupero cane” rispondono “non è di nostra competenza”, “chiamate quest’altro numero” e inizia il gioco del “rimpallino made in Italy”. Se si è fortunati dopo 4 o 5 ore di richieste di nomi e cognomi degli agenti che negano l’intervento e minacce di denuncia per omissione di atti di loro competenza in base alla legge, qualcuno arriva. Avrete fatto in tempo ad affezionarvi al quadrupede abbandonato, a maledire lo Stato, il navigatore che vi ha fatto passare da lì, l’ignoranza, il vostro paese, gli automobilisti indifferenti e vi resterà pure l’amarezza che quel cane vi sembrerà quasi di averlo condannato voi ad andare in canile, probabilmente, a vita. I canili non dovrebbero essere intesi come luoghi d’isolamento, dove i cani diventano invisibili per non dare fastidio alla comunità. A tal proposito seguirà articolo dal titolo “è meglio morire liberi e investiti/avvelenati o marcire da invisibili in una gabbia di 2 metri x2 all’afa e al gelo per l’intera esistenza? E’ questo il dilemma”.
In Italia non esistono canili pubblici gestiti direttamente dallo Stato. Lo Stato infatti delega la gestione dei cani a strutture private convenzionate, che paga con i soldi pubblici: ogni comune organizza dei bandi che secondo criteri del tutto discrezionali assegnano la gestione dei cani ad un canile piuttosto che ad un altro. E’ assolutamente possibile infatti, che dei cani rinvenuti nel Lazio finiscano quindi in un canile disperso nelle Marche. In alcuni canili del sud, ma non solo, gli scandali (anche se essendo un fenomeno diffuso non vengono trattati come tali) per il sovraffollamento e le gare al ribasso (far spendere 60,00 Euro anziché 150,00 al mese a cane è per alcuni Comuni criterio preferenziale) per aggiudicarsi i quadrupedi rinvenuti in altre regioni, sono all’ordine del giorno.
Bisogna infine per completezza distinguere canili sanitari dove vengono portati per un primo accertamento i quasi 100.000 cani recuperati per strada ogni anno (i cani abbandonati sono di più ma molti muoiono prima di poter essere soccorsi), dai canili rifugio: strutture adibite all’accoglienza del cane in attesa di adozione che non ha più bisogno di accertamenti o assistenza medica (vi arriva circa il 70% dei cani rinvenuti: quelli che non sono stati reclamati da alcun proprietario).
In Italia si stimano tra i 500-700 mila cani randagi, questa valutazione numerica – presentata nel 2012 dal sottosegretario alla salute del Governo Monti Adelfio Elio Cardinale – deve tenere conto del fatto che ognuno di questi randagi (oltre ai nuovi abbandoni) potenzialmente può “ sfornare” 7/8 cuccioli l’anno. Non serve una calcolatrice per rendersi conto che la situazione è già fuori controllo: in modo conservativo ipotizziamo anche solo 1/3 di questi cuccioli finire in canile a carico dei contribuenti; l’ordine di grandezza del problema dovrebbe spaventare gli economisti del governo al punto di non rinviare più una soluzione al problema.
Tale soluzione, arrivati dove siamo arrivati, non può che essere drastica e passa dalla sterilizzazione preventiva.
Nonostante mi prudano le mani proverò a non scrivere “sterilizzazione di massa”. Ma è evidente che se l’italiano medio non riesce ad evitare di proiettare la propria sessualità sul proprio cane asserendo “poverino accoppiarsi è naturale non posso fargli vivere una vita contronatura” piuttosto che “visto che prima o poi morirà voglio sostituirlo con un sistema dinastico” (e mi ci metto anche io, ci sono passata: ma vedendo il quadro completo e appellandomi all’educazione civica base ne sono uscita!) tra qualche anno il bilancio ci metterà di fronte a problemi più grandi della sessualità del piccolo Bobby, imponendoci, per esaurimento fondi, quel che accade in Spagna: soppressione per i cani abbandonati e non certo i canili svuotati degli evoluti paesi nordici.
Indispensabile è quindi incentivare la sterilizzazione di cani (e gatti) di privati cittadini. Il coinvolgimento penale dei veterinari che si astenessero sarebbe una misura certo drastica, ma efficace. Le cucciolate, che spesso non trovano collocazione o che sono affidate con troppa leggerezza, sono infatti uno dei principali fattori di incremento del randagismo nel nostro paese. In alcuni comuni come Ferrara, Napoli, Verona e Ventimiglia, l’obbligo di sterilizzazione dei gatti lasciati liberi di uscire dall’abitazione è già previsto dal regolamento comunale.
Addirittura nei canili posso testimoniare che sono presenti molti cani di razza, con pedigree, e se è vero che ci sono allevatori seri ed altri meno seri, resta il fatto che, finché gli animali verranno usati per scopi di lucro, la passione dei pochi allevatori corretti dovrebbe a mio avviso essere valorizzata dal concedere solo 3 licenze per razza in tutto il paese, vietando le vendite online. Questo faciliterebbe i controlli sugli allevamenti, gli esemplari da far riprodurre sarebbero genealogicamente ancor più “selezionati”, le adozioni dai rescue e dai canili aumenterebbero per chi in fondo vuole adottare un amico per la famiglia e non a tutti i costi un cane di razza aspettando lunghe liste d’attesa, l’allevatore inoltre rientrerebbe dei costi della licenza potendo aumentare i prezzi non essendoci più concorrenza sleale di cucciolate clandestine nei siti di pubblici annunci.
Chi ci governa conosce la gravità della situazione, tant’è che nella finanziaria 2007 stabilisce che le Regioni e le Province Autonome, nell’ambito della programmazione regionale, devono dare priorità ai piani di controllo delle nascite destinando una quota non inferiore al 60% delle risorse stanziate per la lotta al randagismo, proprio alle sterilizzazioni. Se la legge venisse applicata quanto meno dagli organi statali, anche tutte le Polizie Municipali dovrebbero essere dotate di lettori di microchip, così come previsto dalla normativa. Da questi gap si evince essere prima di tutto indispensabile, quindi, la formazione delle polizie nazionali e locali sulla normativa per la tutela degli animali d’affezione, il contrasto al randagismo e sui reati in danno agli animali.
Le poche misure prese finora si sono rivelate efficaci ma insufficienti, come toppe ad un problema ormai completamente fuori controllo: dall’obbligo di registrazione del microchip nelle anagrafi locali, alla analoga registrazione dei gatti ancora pressoché inesistente. Anche per i felini l’identificazione tramite microchip dovrebbe essere resa obbligatoria come scritto nell’articolo 12 della Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia e prima ancora dovrebbe essere risolto a monte il problema dell’assenza di dialogo tra anagrafi a livello inter regionale in caso di smarrimento fuori regione, con un censimento fotografico pubblico online, condiviso ed aggiornato, che incentivi, oltretutto, le adozioni, non solo i ritrovamenti.
L’assenza di dati ufficiali e periodici, da parte delle regioni, sui numeri e i costi dei canili e del randagismo nella regione, getta ombra sulla liceità della propagazione di un business basato sulla detenzione -possibilmente lunga- di esseri senzienti innocenti (la Calabria per esempio, una delle regioni più arretrate in termini di rispetto per gli animali e con canili sovraffollati che contano migliaia di cani, da anni non fornisce risposte su fatti o misfatti finanziati con i soldi dei contribuenti).
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